Storia

Teatro Biondo - Gli spazi

IL TEATRO E LA CITTÀ

Il Teatro Biondo di Palermo è sorto nell’ottobre 1903, in un momento di particolare splendore per la città, soggetta a una formidabile espansione urbana. Meta privilegiata di principi e regnanti, Palermo trasforma in maniera determinante il suo volto, rinnovata da una borghesia imprenditoriale illuminata (capeggiata dalla famiglia Florio) e da una classe di intellettuali tra cui spicca l’architetto Ernesto Basile, fra i principali esponenti del movimento liberty in Europa. Accanto ai nomi di maggiore rilievo cresce, inoltre, una fiorente scuola di artisti e artigiani di grande gusto e professionalità.   

Il Biondo nasce in un contesto generosissimo di teatri: alla fine dell’800 Palermo vantava il Santa Cecilia, il Bellini e il Garibaldi, oltre ad innumerevoli sedi teatrali minori in luoghi privati. Il Politeama nacque come spazio spettacolare polivalente (dal circo alla lirica), di carattere più festosamente popolare; il Massimo nacque per volontà della classe aristocratica desiderosa di un tempio esclusivo per l’opera lirica, segno di monumentale magnificenza, sulla scia delle grandi capitali europee. È a questo punto che, all’esigenza di un teatro né popolare né fastoso, ma più moderna sede di una ricca media borghesia, dove sperimentare nuove forme di comunicazione teatrale, rispondono i fratelli Biondo (Andrea, Eugenio e Luigi), facoltosi imprenditori, proprietari di un avviato stabilimento tipografico.

L’EDIFICIO

L’iniziativa fu dell’avvocato Andrea Biondo, il maggiore dei tre fratelli, forte di un’esperienza acquisita nei frequenti viaggi in Europa. Andrea affidò il progetto del teatro (e dell’annesso complesso abitativo) all’ingegnere Nicolò Mineo, tra i migliori della città, al cui fianco collaborarono i colleghi Giacomo Nicolai e Antonio Lo Bianco. I lavori cominciarono nel giugno del 1902 e furono ultimati dopo appena 16 mesi.

Tra le strutture analoghe, edificate nello stesso periodo, il Biondo spicca in virtù dell’innovativa tecnica di realizzazione: convivono spregiudicatezze strutturali nelle parti portanti in ghisa e sopravvivenze stilistiche neorinascimentali nelle pesanti parti in muratura. Il prospetto esterno, di marca eclettica ottocentesca, ripropone i caratteri del teatro-basilica pur mantenendo la continuità della cortina edilizia dell’intero isolato sul fronte stradale. Le opere murarie furono realizzate dall’impresa del cavalier Ferdinando Baronia; le stuccature esterne e le decorazioni interne della ditta Li Vingni. L’ingegnere Nicolai curò la realizzazione dei parapetti a traforo del prospetto, delle zoccolature e dei pavimenti in gettata “alla veneziana”, inserendo nella costruzione delle significative presenze di sperimentazioni proto-industriali di materiali e finiture. La grande sala degli spettacoli fu realizzata “a ferro di cavallo” con doppio ordine di palchi e ampio loggione corredato di poltroncine della ditta Dotti.

Il teatro fu tutto di produzione orgogliosamente locale, tranne rari interventi di prestigiose imprese internazionali (l’A.E.G. curò l’impianto d’illuminazione); la ditta Carraffa fornì gli apparecchi illuminanti, su disegno dello stesso progettista; la Fonderia Oretea (che aveva costruito, tra l’altro, la copertura del Politeama) realizzò le parti strutturali più importanti: le travi a traliccio del tetto del palcoscenico, le impalcature per la copertura della sala, l’ossatura in ferro dei palchi con le artistiche colonnine. Il palcoscenico e l’intera macchina teatrale furono opera del celebre artigiano Agozzino, che aveva già  realizzato quelli del Teatro Massimo. Per le pitture e i decori fu incaricato Salvatore Gregorietti, col quale collaborarono Carmelo Giarrizzo, Francesco Padovano, Francesco La Cagnina, Onofrio Tomaselli.

Nel numero unico pubblicato dal Biondo il giorno dell’inaugurazione, un articolo di Raffaele Scala-Enrico descrive con entusiasmo i particolari degli interni: gli splendidi marmi siciliani (“giallo” di Segesta e “rosso” di Castellammare), dai toni brillanti, coronati da un bianco marmo di Carrara, allestivano un ingresso fastoso (l’attuale ingresso laterale del teatro su Via Venezia), arricchito da colonne binate di marmo rosso, definite da una bianca balaustra con colonnine; sulla volta, ricca di stucchi, un affresco di Francesco Padovano, raffigurante una teoria di angeli danzanti. Nell’ampio foyer centrale della seconda fila di palchi, due allegorie della Commedia e della Tragedia, opera di Carmelo Giarrizzo su disegno di Gregorietti mantenute fino ad oggi.

A piano terra si accede al foyer rettangolare le cui colonne di marmo rosso introducono alla sala grande impreziosita dalle decorazioni nei palchi di Salvatore Gregorietti così descritte nell’articolo di Scala-Enrico: «Tali decorazioni hanno una ricchezza di fantasie orientali su sfondi chiari, tutte a intrecci deliziosi, fatti di foglie e di frutti, a toni squisiti, i quali si svolgono in ornati graziosi, di una tale semplicità e di una tale eleganza da rimanere, dinanzi ad essi, immersi in un’ammirazione che finisce col turbare». Del grande “cielo” della sala grande, anch’esso di Gregorietti, resta solo la descrizione di Scala-Enrico: «La grandiosa allegoria che quel genialissimo artista vi ha dipinta è un’opera splendida e ardita; il Gregorietti vi ha trasfusa tutta la poesia del suo pennello e il fervore più ricco del suo ingegno. Non è una scena, è una visione che passa; un sogno che si svolge; un passaggio di fantasmi lievi, di ombre fatte di luce le quali si seguono a gruppi – le Muse, le Arti, le Chimere – fra uno stuolo di puttini, su sentieri aerei, fatti di sottili vapori». Sono invece tornati alla luce, quasi integralmente dopo i lavori di restauro del 1996, le pitture dei fascioni dei palchi, delle colonnine e del boccascena, che alla fine degli anni Venti erano stati intonacati quando il teatro fu riadattato a sala cinematografica.

La sala Strehler nacque all’epoca come prestigioso salone delle feste con le sue 12 porte di cristallo e 108 punti-luce su putti bronzei, ricchissimo di stucchi di Gregorietti e affrescato dal Padovano. All’origine fu un punto di ritrovo del “dopo teatro” per le famiglie più in vista della città, centro di interessi culturali e mondani. Oggi la sala Strehler è la seconda del teatro e vanta un’ulteriore stagione dedicata.

LA VICENDA TEATRALE

Il Biondo venne inaugurato giovedì 15 ottobre 1903 dalla Compagnia Drammatica Italiana di Ermete Novelli che debuttò con Papà Lebonnard di Jean Aicard. Dal giorno successivo e nei giorni a seguire lo stesso Novelli mise in scena Il burbero benefico di Goldoni, Shylock o Il mercante di Venezia di Shakespeare, Luigi XI di Jean-François Delavigne.

Da quel momento diventò – e lo è tuttora – il teatro di prosa per eccellenza della città, ospitando artisti e compagnie nazionali e internazionali. Alla fine degli anni Venti un periodo di crisi indusse la famiglia Biondo a percorrere la via più “moderna” del cinema. Ma la fama del Biondo non venne mai meno e le stagioni teatrali successive tornarono ad avere grande partecipazione di pubblico. Con la nascita nel 1968 della Fondazione Andrea Biondo inizia un nuovo momento per il teatro: per volontà  testamentaria della signora Margherita Biondo la Fondazione si prefigge di essere punto di riferimento per la vita culturale di Palermo. E col tempo viene sempre più avvertita la necessità  di passare da un cartellone organizzativo e di semplice ospitalità ad un’attività di vera e propria produzione. La risposta concreta si realizza nel 1978 con la direzione artistica di Pietro Carriglio, intellettuale, regista e scenografo, che in breve tempo riesce ad organizzare un’attività  produttiva non episodica, valorizzando anche le risorse artistiche della città, oltre ad allestire stagioni di notevole impegno culturale.

Dopo innumerevoli sforzi, sul piano dell’oculata gestione amministrativa, degli interessanti risultati artistici, del successo di pubblico e dell’attenzione provocata nel mondo politico-culturale, nel 1986, il ministero riconosce al Biondo tutti i requisiti di teatro stabile e il 31 dicembre dello stesso anno viene sottoscritto l’atto costitutivo dell’Associazione Teatro Biondo Stabile di Palermo, che ha come soci fondatori il Comune di Palermo, la Provincia Regionale, la Regione Sicilia e la stessa Fondazione Biondo.

Nel 1991 Carriglio lascia il Biondo per andare a dirigere il Teatro di Roma. Gli subentra Roberto Guicciardini, che rimane per nove anni. Nell’ottobre del 1998, Carriglio ritorna alla guida dello Stabile di Palermo, fino all’ottobre del 2013, quando la direzione del Biondo viene assegnata allo scrittore Roberto Alajmo e la regista Emma Dante è nominata artista principale ospite. Il Teatro Biondo inaugura così un nuovo corso, che apre le porte ai migliori talenti palermitani affermatisi in Italia e all’estero, annunciando un progetto di rinnovamento, nel segno della molteplicità  dei linguaggi e di un rapporto dialettico con la città. Nel 2015 la nuova riforma dei teatri riconosce il Biondo “Teatro di rilevante interesse culturale”. Dall’aprile del 2019 il Teatro è diretto da Pamela Villoresi, che intensifica i rapporti con le realtà cittadine e avvia una serie di collaborazioni internazionali.