Alfredo, Betta e Gemma abitano un pezzo di terra circondato dal mare, tre metri per tre. Non sono naufraghi ma gli ultimi ad abitare una terra che sta per scomparire inghiottita dall’acqua. Non sono disperati, non hanno paura, sono consapevoli e rassegnati. Vivono questi loro ultimi istanti cercando conforto nelle piccole cose della vita, nelle relazioni e nelle costrizioni di chi si trova a condividere spazi e tempi sempre più stretti sempre più duri. Like Kiribati, terzo capitolo della Trilogia della crisi, è il nome di un arcipelago nel Pacifico che presto scomparirà. Lo spettacolo guarda con una certa dose di ironia critica all’Agenda 2030 dell’Unione Europea e a i suoi obiettivi di carta. Kiribati è destinato ad essere, entro i prossimi 50 anni, il primo Stato abitato dagli esseri umani a scomparire a causa dell’innalzamento delle acque per via del riscaldamento global. Una drammaturgia originale dai tratti immaginifici, futuristici e surreali, laddove per surrealtà si intende l’immaginazione di un piano di relazioni e situazioni probabili ma acroniche, un futuro distopico che, senza nulla volere aggiungere ai tanti ragionamenti politici e di merito che si stanno facendo in questi anni, vuole porre l’accento e una sua declinazione guardando, come fa il teatro, ai rapporti tra gli esseri umani di fronte a una situazione irrecuperabile, sulla base di una semplice riflessione: non è la Terra in quanto Pianeta in crisi, ma lo è la nostra esistenza su di essa, perché Lei, la Terra, dopo averci sopportato, sopravviverà a noi.